lunedì 15 aprile 2013

Rispondiamo alle mistificazioni sulla sofferenza




Cari amici e fratelli,di solito non rispondo alle mistificazioni dell'osservatorio"poichè le considero stupide insensate e piene di malafede.E' abitudine dell'"osservatorio"mentire e mistificare la verità.In questi giorni gli "osservatori"cercano di far credere che nel CNC si presenti un Dio cattivo,vendicativo, assettato di sangue,che gode della sofferenza degli uomini,per questo vorrei rispondere alle loro mistificazioni perchè non si può usare il delicatissimo tema della sofferenza in un modo così scorretto e strumentale.
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LE AFFERMAZIONI DELL' "OSSERVATORIO"SONO  FALSE,SONO UNA SERIE DI MISTIFICAZIONI!

Sono da tanti tanti anni in cammino ma NON HO MAI SENTITO FRASI COME QUELLE RIPORTATE DAL BLOG "osservatorio".Mai ho sentito catechisti affermare che Dio manda sofferenze.LO RIPETO,SI TRATTA QUINDI DELL'ENNESIMO ESEMPIO DI MALAFEDE,DISONESTA' E FALSITA' DELL'OSSERVATORIO oltre che segno di una grande ignoranza delle Sacre Scritture e della Tradizione Cattolica.

Dato per certo che la sofferenza è un grande mistero,vorrei gettare un po di luce.Come stanno le cose?Le sofferenze sono solo dovute a noi stessi?Dio le permette?Per fare chiarezza mi servirò di una riflessione di un Sacerdote,Padre Andrea D'Ascanio che mi sembra molto buona.


TRATTO DA IL PERCHE' DELLA SOFFERENZA DI P.A.D'ASCANIO


Perché la sofferenza è necessaria per farsi santi? L’amore non è più della sofferenza?

Certo, l’amore è più della sofferenza, e un atto di amore puro vale ben più di un sacrificio. Ma solo Dio è Amore e l’uomo, peccando, si è staccato da Dio e quindi non ha più Amore.Abbiamo già chiarito che, se l’uomo chiude le porte al Padre, le apre al “padrone” che deforma in lui l’immagine divina, seppellendo la Luce dello spirito sotto spessi strati di materialità.Satana prima inganna l’uomo e lo fa peccare, poi gli dà la mercede del peccato caricandolo di sofferenza. Quindi torna alla carica prospettandogli altri peccati come unica maniera per alleviare la sofferenza.E l’uomo – infiacchito nella volontà, spento nello spirito e stordito nel pensiero – si lascia risucchiare in questo continuo vortice: sempre nuovi peccati che procurano sempre maggiori sofferenze. Meta finale sono la disperazione e la morte eterna.L’unica maniera per uscire da questa spirale è permettere al Padre di intervenire con la Sua potenza. Se Gli diamo spazio, Lui viene e trae dal male che abbiamo commesso un bene infinitamente più grande, trasformando la disperazione in gioia e la morte in Vita.

E’ proprio vero che “Dio permette il male per trarne un bene più grande”. Ma solo se noi glielo permettiamo con libera e docile volontà, accettando ogni sofferenza con gioia e con rendimento di grazie.La sofferenza, in tutte le sue manifestazioni racchiuse nei misteri dolorosi del Rosario, è il piccone con cui il Padre spacca tutte le incrostazioni e permette all’anima di emanare nuovamente la sua Luce divina.Se preferiamo un’immagine evangelica, la sofferenza è la potatura di cui parla Gesù: Il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto” (Gv 15,1).In altre parole, la sofferenza è il mezzo di cui il Padre si serve per purificarci e farci crescere nella santità, cioè nella nostra vita divina.
L’unico nostro dovere è la santità, cioè la riconquista delle prerogative divine che abbiamo perso con il peccato. Ma la santità è opera essenzialmente divina che solo il Padre può realizzare con la Sua azione onnipotente: è questo il “lavoro” continuo del Padre di cui parla Gesù: “Il Padre mio opera sempre” (Gv 5,17). Io debbo essere santo. Ma non posso “farmi santo”, come si dice comunemente, con le mie forze: la santità è “opera divina” che può realizzare solo la Trinità. L’unica cosa che io posso e debbo fare è rinnegare me stesso e prendere ogni giorno la mia croce” (cfr. Mt 16,24), cioè rinunciare alla mia volontà e mangiare il pane quotidiano” della sofferenza con la quale il Padre mi “pota perché porti frutto”. Frutti di santità.La via della santità è la via dell’Amore e la via dell’Amore è la via della croce: non ce ne sono altre. L’Amore e la Croce sono legate in modo indissolubile. La croce è la via regale dell’Amore che ha tracciato Gesù e che anche noi dobbiamo percorrere.Ripetiamo ancora una volta che la sofferenza non ce la manda il Padre, ma è il frutto della nostra disobbedienza e dei nostri capricci. Il Padre con la Sua Sapienza e Bontà infinite “ricicla” questa realtà di morte da noi generata dandole un valore di Vita.Se rifiutiamo la sofferenza non la eliminiamo, ma la vanifichiamo, non valorizzando l’unico nostro vero capitale: “Fa’ qualcosa per i malati – disse Padre Pio ad un suo figlio spirituale – non permettere che si sciupi tanta sofferenza”.

Perché i Santi hanno tanto amato la sofferenza?

I Santi non hanno amato la sofferenza, bensì hanno amato Diocon tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,5). Si sono perciò abbandonati completamente a Lui “come un bimbo nelle braccia della mamma”  (Sl 131,2), così come ha insegnato loro il Maestro e fratello maggiore Gesù, lasciandogli piena libertà di azione perché realizzasse in loro il Suo progetto di santità, cioè di divinizzazione, guastato dal peccato.Tutti i Santi, pur tanto diversi tra loro, hanno un comune denominatore nell’Amore al padre che testimoniano accettando con gioia qualunque sofferenza. Loro sanno bene che possono realizzare la santità unicamente lasciandosi “potare” dal Padre che taglia tutti i tralci che non portano frutto e pota quelli buoni perché portino più frutto.Con la sofferenza il Padre colpisce a morte l’ “io” demoniaco che è in ogni uomo e stabilisce nuovamente negli spiriti il Suo regno di Verità e di Pace.Per questo i Santi che hanno ben capito l’azione di potatura di Dio, invece di lamentarsi e di piagnucolare, Gli gridano con Santa Teresa: Signore, o patire o morire!” nell’assoluta certezza che solo nella sofferenza c’è la possibilità di crescere nello spirito e che quindi una vita senza sofferenza non merita di essere vissuta.Padre Pio da Pietrelcina disse a Padre Lino, in occasione dell’inizio dell’anno 1967: “Ti auguro tanta sofferenza!”, e poi, leggendo nell’animo del confratello la lotta tra lo spirito e la materia, ripetè con parole ben scandite: “E che, non ti piace? Ti ho fatto l’augurio più bello, quello della sofferenza!
“Padre, sì,” rispose deciso P. Lino, “sia fatta la volontà di Dio!” – “Mo’ mi piace!”, concluse Padre Pio sorridendo (da “Il Sorriso di Padre Pio” ed. Pater).
           
Perché la sofferenza è la massima testimonianza di amore al Padre?

Una sola cosa gli Angeli invidiano all’uomo: la possibilità di soffrire per dimostrare così a Dio il loro Amore” (Padre Pio).Quando si ama veramente una persona e la si vede soffrire, cosa non si darebbe per prendere su di sé il suo dolore o almeno per alleviarglielo? Gesù ama di Amore infinito il Padre Suo. Conosce fino in fondo la Sua amarezza per la lontananza dei Suoi figli e per la condizione penosa in cui questi sono precipitati; Gesù conosce inoltre il disegno che il Padre ha progettato per la redenzione dei fratelli e quale sia il ruolo che a Lui compete. Senza attendere che Gli venga proposto, si fa spontaneamente avanti con il suo assenso incondizionato e gioioso: “Ecco, io vengo, o Padre, per fare la tua Volontà” (Eb 10,9). L’Incarnazione e la Passione sono la massima testimonianza di amore di Gesù al Padre; per questo era geloso della Sua sofferenza e aveva urgenza di bere il calice che il Padre gli aveva preparato: “Son venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere e come sono angosciato finchè non sia compiuto!” (Lc 12,49-50). Per questo rimprovera con parole tanto forti Pietro che voleva opporsi alla Sua passione: “Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mt 16,23).Questa espressione conferma e riassume quanto detto sinora: satana aveva lanciato la sua grande sfida a Dio, chiedendo come prezzo del riscatto la Sua passione e morte. Il “tentatore” – anche se non ne è certo – ha intuito che Gesù è il Messia inviato dal Padre per pagare questo riscatto, e vede traballare il suo regno. Come fece nel deserto, cerca ora di bloccare il disegno di redenzione del Padre “tentando” il povero Pietro, facendo leva sul suo amore e sulla sua povera logica umana.

Perché la sofferenza accettata è la massima testimonianza di amore ai fratelli?

Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni agli altri come io vi ho amati.Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. (Gv 15,12-13)I Santi, poiché si sono lasciati “potare” e ri-generare dal Padre, sono altri Gesù: “Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me” (Gal 2,20) dice S. Paolo. E Gesù partecipa loro tutte le vibrazioni di Amore che Egli ha per il Padre e per i fratelli.Come Gesù, di cui sono il prolungamento, anche i Santi offrono al Padre la vita perché si realizzi il Suo progetto di riscatto: “Ecco, io vengo, o Padre, a fare la tua volontà!Gesù non ama la sofferenza, e non la amano i Santi.Ma quando si è entrati in sintonia con il Cuore del Padre “afflitto” – come disse la Vergine ai tre Pastorelli di Fatima – e quando si è capita l’infinita disperazione dei fratelli ancora prigionieri del male, non ci si può più rinchiudere nel proprio egoismo. L’Amore che il Padre della Vita comunica ai Suoi figli deve espandersi, deve concretizzarsi in opere di Vita, e di queste la massima in assoluto è la sofferenza accettata e offerta per la redenzione propria e dei fratelli: “nessuno ama i suoi amici più di colui che dà per loro la vita”.Padre Pio da Pietrelcina, stimmatizzato visibilmente nel 1918, ha incarnato in pienezza questo spirito di donazione e di offerta, “completando nel suo corpo”, croficisso per 50 anni, “quello che manca alla passione di Cristo”. Tutta la sua spiritualità s riassume in una sua frase che è la massima espressione cui possa giungere un’anima bruciata dall’Amore per Dio e quindi per i fratelli:Chiedo di vivere morendo,perché dalla morte nasca la Vita che non muore,e la morte aiuti la Vita a risuscitare i morti”.Padre Pio “chiede” cioè di vivere in uno stato di continua “agonia”, di continua accoglienza della sofferenza e della morte, per permettere al Dio Vita di ri-generare i fratelli morti nello spirito.

Perché Gesù ci invita a “prendere la croce” e insieme a “stare nella pace e nella gioia”? Non sono due cose incompatibili?

 La gioia più grande di Gesù è stata quella che ha provato sulla croce, quando ha potuto dire: “Padre, perdona loro!” (Lc 23-24).Nel perdono che il Figlio chiede e ottiene per tutti, si squarcia la “coltre” (Is 25,7) che copriva la terra e il Padre può riaprire le braccia ai figli riscattati dal sacrificio del Figlio. Inizia il grande “ritorno” alla Casa del Padre. Il mistero della sofferenza è unito in modo inscindibile a quello della gioia, perché la gioia è il “grazie” che il Padre dice nel profondo dell’anima a quanti Gli dicono “sì” e si lasciano coinvolgere dalla splendida avventura della corredenzione.Ogni colpo di cesoia che il grande “Potatore” dà al nostro “io” è una “mortificazione”, una piccola “morte”. Se, come Gesù, diciamo sempre un gioioso “sì”, il Padre fa echeggiare dentro di noi il Suo “sì” di resurrezione che si manifesta appunto nella gioia.Ad ogni colpo di piccone lo Spirito demolisce un pezzo del nostro “cuore di pietra” e crea il nuovo “cuore di carte”, segno dell’uomo rigenerato, del risorto che esce dal sepolcro di morte in cui lo aveva condannato il peccato.Offrirsi al Padre vuol dire entrare in questa lotta tra la Vita e la morte che si scontrano in noi, con la certezza che il Suo Amore è più forte della morte e vincerà.Offrirsi al Padre vuol dire mettersi alla sequela del Figlio sino alla morte in croce.Ma la croce è pegno di resurrezione: Vita e morte si sono scontrate in un prodigioso duello; il Signore della Vita era morto, ma ora, vivo, trionfa”. (dal Preoconio pasquale)Il pegno della Resurrezione, già qui in terra, è la Gioia.Offrirsi al Padre vuol dire impegnarsi senza mezzi termini ad essere strumenti docili dello Spirito di Santità perché questa si effonda in tutti gli uomini. Ma la Santità è Dio, e Dio è Gioia infinita che si testimonia donando la Gioia e la Vita a quanti lo testimoniano accettando la sofferenza e la morte per Suo amore.Offrirsi al Padre vuol dire liberarsi dalla paura della morte e dalla sofferenza, perché Lui scioglie queste temute realtà nel momento stesso in cui le accogliamo. E, quello che sembra più assurdo, ce le fa amare e desiderare, come le uniche cose veramente preziose: Mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo. Sono pervaso di gioia in ogni mia tribolazione” (2 Cor 12,5; 7,4)