Vorrei offrire questa riflessione sul valore sacrificale della Messa tratta da un libro di teologia che si intitola:"Pane vivo spezzato per il mondo. Linee di teologia eucaristica, Assisi 2011, 235-236.La ritengo molto interessante:
La teologia scolastica ha avuto l’indubbio merito di mettere criticamente a tema l’identità tra l’eucaristia e il corpo storico di Cristo sviluppando in proposito un’ampia e approfondita riflessione. Il riconoscimento del valore che l’eucaristia ha in se stessa come presenza reale di Cristo si riflette largamente sulla pietà popolare, dove la disaffezione verso la comunione è, per così dire, compensata dal diffuso desiderio di vedere l’ostia consacrata.A tale desiderio si collega lo sviluppo del culto eucaristico al di fuori della messa, il cui punto di partenza è un uso nuovo che si introduce nel rito verso la fine del sec. XII: l’elevazione dell’ostia subito dopo la consacrazione, in modo che tutti possano vederla e adorarla.
D’altra parte però l’enfasi posta sulla presenza di Cristo sotto le specie consacrate porta a trascurare altre dimensioni pure essenziali del mistero eucaristico. In particolare il tema del carattere sacrificale della messa resta ai margini della produzione teologica, soprattutto di quella nominalista. Anche l’insufficiente attenzione che i teologi dedicano a questo aspetto contribuisce a spiegare perché, a livello di prassi e di sensibilità diffusa nella coscienza comune dei cristiani, emergono orientamenti in vario modo problematici.
Generalmente la Messa tende a essere vista come rappresentazione allegorica della passione, nel senso che i diversi momenti del rito evocano diverse fasi della passione. Prese nel loro insieme, le allegorie sulla Messa hanno una loro coerenza: esse permettono al popolo di seguire passo passo il Signore nei vari episodi della passione, suscitando così nei fedeli sentimenti di compassione per il Christus passus. Non mancano però anche tendenze più pericolose che concepiscono la Messa come ripetizione o integrazione del sacrificio del Calvario, postulando quindi una sorta di “insufficienza” della croce per la redenzione degli uomini. In ogni caso, dalla Messa rappresentazione o dalla Messa integrazione se non ripetizione del Calvario emerge la tendenza a separare il sacrificio della messa dal sacrificio della croce. In questa linea la Messa tende sempre più a diventare il sacrificio della Chiesa, nel senso dell’ “opera buona” che i fedeli chiedono ai sacerdoti di offrire per ottenere grazie per sé e accorciare la permanenza dei propri cari defunti in purgatorio. A ciò si collega la pratica sempre più diffusa delle Messe di suffragio. In connessione con l’idea che il sacrificio della messa sia opera della Chiesa si delinea pure una problematica distinzione, all’interno della Messa, tra la consacrazione che realizza la presenza reale e l’offerta del sacrificio.E’ sintomatica in proposito la tesi di Scoto secondo cui un sacerdote scomunicato non può offrire il sacrificio della messa. Tale sacrificio infatti è un’offerta che la Chiesa fa a Dio tramite il ministro che agisce in persona ecclesiae; cosa impossibile qualora il sacerdote sia scomunicato, cioè escluso dalla comunione ecclesiale. D’altra parte però il sacerdote scomunicato consacra validamente il pane eucaristico, realizzando così la presenza reale del corpo di Cristo. In effetti, quando opera la consacrazione, il sacerdote agisce in persona Christi e l’efficacia di questa sua azione non dipende dal fatto di essere o meno in comunione con la Chiesa. La tesi di Scoto fa dunque emergere almeno tre aspetti problematici fra loro collegati: la separazione fra il sacramento/presenza reale e il sacrificio; la considerazione esclusiva della messa come opera della Chiesa separata dall’azione di Cristo; la conseguente tendenziale riduzione del sacrificio della Messa ad atto religioso umano.