Nella Enciclica Humanae Vitae al numero 11 Papa Paolo VI si esprime nel modo seguente:
"Rispettare la natura e la finalità dell’atto matrimoniale
11. Questi atti, con i quali gli sposi si uniscono in casta intimità e per mezzo dei quali si trasmette la vita umana, sono, come ha ricordato il recente concilio, "onesti e degni", e non cessano di essere legittimi se, per cause mai dipendenti dalla volontà dei coniugi, sono previsti infecondi, perché rimangono ordinati ad esprimere e consolidare la loro unione. Infatti, come l’esperienza attesta, non da ogni incontro coniugale segue una nuova vita. Dio ha sapientemente disposto leggi e ritmi naturali di fecondità che già di per sé distanziano il susseguirsi delle nascite. Ma, richiamando gli uomini all’osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la Chiesa insegna che qualsiasi: atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita".
Nel Cammino Neocatecumenale si insegna alle coppie ad aprirsi generosamente alla vita e ad accogliere ed allevare con decisione ponderata e generosa la famiglia numerosa.Fermo restando però quanto insegna la stessa Humane Vitae al punto 15 ,circa la possibilità di regolare la natalità:
"Se dunque per distanziare le nascite esistono seri motivi, derivanti dalle condizioni fisiche o psicologiche dei coniugi, o da circostanze esteriori, la Chiesa insegna essere allora lecito tener conto dei ritmi naturali immanenti alle funzioni generative per l’uso del matrimonio nei soli periodi infecondi e così regolare la natalità senza offendere minimamente i principi morali che abbiamo ora ricordato.
Una cattiva interpretazione di questo insegnamento ha portato tanti cristiani e purtroppo diversi Sacerdoti in ambito di confessione Sacramentale a limitare il concetto di procreazione responsabile al solo regolare le natalità ,
ma al riguardo la Humanae Vitae è molto chiara:
"In rapporto ai processi biologici, paternità responsabile significa conoscenza e rispetto delle loro funzioni: l’intelligenza scopre, nel potere di dare la vita, leggi biologiche che riguardano la persona umana. In rapporto alle tendenze dell’istinto e delle passioni, la paternità responsabile significa il necessario dominio che la ragione e la volontà devono esercitare su di esse. In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita".
Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica al riguardo è chiarissimo:
"2368 Un aspetto particolare di tale responsabilità riguarda la regolazione della procreazione. Per validi motivi gli sposi possono voler distanziare le nascite dei loro figli. Devono però verificare che il loro desiderio non sia frutto di egoismo, ma sia conforme alla giusta generosità di una paternità responsabile. Inoltre regoleranno il loro comportamento secondo i criteri oggettivi della moralità"
La Sacra Scrittura ed il Magistero della Chiesa hanno sempre visto come positiva la famiglia numerosa come emerge dal Catechismo della Chiesa Cattolica.:
Il dono del figlio
2373 La Sacra Scrittura e la pratica tradizionale della Chiesa vedono nelle famiglie numerose un segno della benedizione divina e della generosità dei genitori [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 50].
Sul giornale on line http://www.catanzaroinforma.it/ in questi giorni è apparso un articolo di una famiglia di quella città che percorre il Cammino Neocatecumenale la quale è aperta alla vita ed ha accolto 15 figli.
Trovo l'esempio di queste famiglie veramente commovente.Queste famiglie ci danno molta gioia e ci mostrano come Dio premi con tante grazie la loro generosità.Come è bello vedere l'eroismo di queste famiglie nella generale paura,nella denatalità dell'Italia che ci vede all'ultimo posto. Contrariamente a quanto alcuni dicono,nel Cammino non si obbligano affatto le coppie a fare molti figli.L'apertura alla vita non consiste solo nell'accogliere molti figli.L'apertura alla vita è soprattutto aprirsi generosamente alla volontà di Dio che può permettere pochi o molti figli.Accogliendo la vita che Dio vuole trasmettere senza porre limiti egoistici o farsi dominare dalla paura gli sposi vivono la propria paternità e maternità ad immagine di quella di Dio che non si è risparmiato ma si è donato a noi completamente.
UNA FAMIGLIA STRAODINARIAMENTE NORMALE
Davanti al civico 77 di via Fares, dove abita la famiglia Anania , c’è un furgone bianco parcheggiato. Comode, possono viaggiare 9 persone. Un buon numero, ma non sufficiente per gli Anania che sono 17. E non si tratta di una famiglia allargata.Con papà Aurelio e mamma Rita vivono ben 15 figli. La prima, Marta, è nata quasi 17 anni fa. L’ultima, Domitilla, ha appena 3 mesi. In mezzo ci sono Priscilla, Luca, Maria, Giacomo, Lucia, Felicita, Giuditta, Elia, Beatrice, Benedetto, Giovanni, Salvatore e Bruno. Quando ci aprono la porta di casa li troviamo, quasi tutti, seduti attorno al lungo tavolo della cucina: quaderni e libri aperti perché è l’ora dello studio.Sarà a causa della presenza estranea che c’è un silenzio inaspettato. Ognuno fa quello che deve fare sotto l’occhio attento di mamma (che tiene in braccio la neonata), e di papà (attento in particolare a Bruno che da poco ha imparato a camminare). Quella di Aurelio e Rita è una storia d’amore non comune. Amore l’un per l’altro, certo. Ma in particolare per Dio. Si sono conosciuti nel quartiere in cui abitavano, Santa Maria. E dopo otto anni di fidanzamento, “vissuto mantenendo intatto, con l’aiuto del Signore, il valore della castità pre matrimoniale”- dicono insieme – si sono sposati l’8 dicembre del 1993.Entrambi sono impegnati in un cammino di fede neocatecumenale. Ecco perché l’aver dato vita a una famiglia così numerosa per loro non è stata “una scelta di estremismo cattolico, come qualcuno potrebbe considerala”, ma “il compimento dell’opera di Dio. La cui presenza- spiega Aurelio – sperimentiamo ogni giorno nonostante le fatiche, che certo non mancano”.C’è una grande serenità. Si coglie in ogni angolo dei 110 metri quadrati di casa – un po’ pochi – in cui vivono. Al piano di sopra ci sono le stanze da letto: i sette maschi dormono tutti insieme. Le femminucce, si sa, hanno bisogno di più spazio: e allora tre in una camera e cinque in un’altra. Nel sottoscala l’appendiabiti suscita il sorriso: sembra quello di una comune classe d’asilo, tanti sono i giubbini appesi. E poi tante fotografie: ci sono i ricordi di battesimi e cresime, di comunioni o semplicemente del primo giorno di scuola.“La nostra – prosegue Aurelio – è stata una scelta libera dettata da un profondo senso religioso. I figli sono un dono e ai nostri, che educhiamo alla fede, non manca niente. Sono bambini come tutti gli altri. Certo, non potranno avere il superfluo, ma non è quello che serve per vivere bene”. Qualche battutina su una famiglia tanto numerosa sono però costretti a sopportarla. “Ma a me non importa nulla – racconta Giacomo, una decina d’anni e due occhi azzurri che lasciano trasparire una intelligenza viva – perché non cambierei la mia famiglia con nessun’altra al mondo. Sto bene e ho tutto il necessario”. Gli altri annuiscono, confermando che quella non è solo la sua opinione.Che sia una famiglia dalle radici profondamente cattoliche non c’è dubbio. Sparsi, nella cucina, non mancano quadri che richiamano il sacro. E il frigorifero è colorato da tante calamite, souvenir di luoghi di preghiera. Nel piccolo giardino, poi, ad accogliere chi arriva da fuori, un cuore di ciottoli e una piccola statua di san Francesco di Paola. “E’ inutile negare che viviamo delle difficoltà – continua Aurelio – e che a volte ci assalgono delle paure. Ma siamo felicissimi della vita che conduciamo perché è un progetto divino quello che stiamo portando avanti. Del resto nel Vangelo c’è scritto: “Ne mangiarono, si saziarono, ne avanzò”, un passo che mi ripeto spesso in qualche momento di defaillance”.Aurelio lavora all’Accademia di Belle Arti, Rita, e non poteva essere altrimenti, non ha tempo per un impiego: quello in casa è già notevole. “Ma va bene così – afferma mentre ha fra le braccia la bella Domitilla – anche perché i più grandi mi danno una mano: ognuno fa quel che può”. L’organizzazione familiare è, così, perfetta. Sin dalla mattina quando scatta la sveglia: tutti in piedi alle 6,15, perché altrimenti non si fa in tempo ad arrivare a scuola. La colazione? Occorrono quattro litri di latte al giorno. Per il pane la media è di tre chili mentre di pasta, per ora che i piccoli vanno ancora avanti a “pappine”, ne serve “soltanto” un chilo e mezzo. La carne non si compra a chili ma a fettine: 16-17 è il numero giusto. E oltre ai piccoli riti di ogni giorno, c’è quello della domenica che tutti rispettano: la messa, nella chiesa di Santa Maria di Zarapoti o in quella di San Francesco di Paola (il piccolo prefabbricato di via Fares). “Non solo, perché poi ci ritroviamo a casa per recitare le lodi e discutere sulla Parola che abbiamo ascoltato durante la celebrazione”.
Ma non si parla solo di religione con i figli. “Tra noi c’è un dialogo molto aperto – spiega Rita – e si affrontano diversi temi: dal sesso ai problemi di attualità. C’è un continuo rapporto di interscambio che ci arricchisce reciprocamente”. E che i ragazzi abbiano già acquisito una maturità superiore a quella dei coetanei, lo testimonia l’attenzione e la voglia di partecipazione dimostrata nel corso di tutta l’intervista.Una famiglia speciale ma straordinariamente normale, gli Anania, che hanno voluto raccontare la loro storia a Catanzaroinforma.it per condividere con il mondo intero il proprio credo. Ed essere testimoni dell’aiuto di quella provvidenza misteriosa e divina che li fa andare avanti superando le difficoltà di ogni giorno.