Quanto parlare di riforma della riforma da parte dei nostri amici "Osservatori" ma in realtà si tratta di pura propaganda.Il Card.Canizares Llovera è stato molto chiaro dicendo che più che cambiare qualche rubrica del Messale o reintrodurre qualche parte di latino o rigirare il Sacerdote,come dicono,"verso Gesù",si tratta di catechizzare i cristiani.Il problema della liturgia nasce proprio da questo,da uno scarsa catechizzazione,evangelizzazione.
E' la fede ad essersi indebolita e quindi un problema essenzialmente di fede non di Messale o dell'italiano o perchè il Sacerdote si rivolge verso l'assemblea.
Qualche tempo fa su alcuni blog si paventava l'ipotesi di reintrodurre parti in latino o di ripristinare la posizione verso oriente.Non so se ciò avverrà,francamente ci credo poco e quanto diceva il Card.Canizares Llovera conferma i miei dubbi.
Non è la prova di nulla ma recentemente ho chiesto alla casa Editrice Vaticana se è prevista a breve l'uscita del Nuovo Messale.Mi hanno risposto che non passerà molto tempo.Ora io ritengo che difficilmente si metterà mano a questi cambiamenti con il nuovo Messale già pronto.
In ogni caso a proposito della riforma della riforma propongo un passo del libro Rapporto sulla Fede che è una intervista all'allora Card. Joseph Ratzinger di Vittorio Messori.Descrive esattamente la mentalità degli "Osservatori":
Da Rapporto sulla Fede intervista di Vittorio Messori al Card. J.Ratzinger
Inadeguatezza della tesi “tradizionalista”
Di fronte all’attuale crisi liturgica la soluzione che sembra emergere dalla gran parte degli ambienti tradizionalisti è la restaurazione del culto cattolico così come era praticato negli anni Cinquanta.Sentendo parlare molti esponenti del mondo del tradizionalismo e ancor più vedendo la vita di quel mondo, sembra di capire che l’idea dominante è che non si può dare alcuna crescita nella liturgia, e qualunque variazione, anche minima, nelle forme liturgiche è il peccato originale da cui derivano tutti i mali.
In molti di quegli ambienti si è dunque realizzata una sorta di ipostatizzazione della liturgia (ma in generale di tutta la vita della Chiesa) così come era nell’immediato pre-concilio; in questo modo, in definitiva, hanno compiuto riguardo a quel periodo la stessa operazione che i progressisti hanno fatto per i primi secoli cristiani. Ma anche
in questo caso la liturgia cessa di essere un organismo vivente e rischia di ridursi ad un corpo pietrificato, adatto più ad un mausoleo che ad una chiesa, splendido a vedersi perché perfettamente conservato, ma che lascia un senso di tristezza per la fissità delle sue forme e la mancanza di vitalità della sua condizione.
In qualche caso, addirittura, l’uso del rito pre-conciliare appare penosamente come puro strumento di rivendicazione ideologica, una sorta di bandiera della nostalgia per un Ancien Régime ecclesiale e culturale, quando non politico.Tutto questo, evidentemente, snatura il vero volto dell’amore alla tradizione e nuoce, senza avvedersene, alla causa del ristabilimento nella Chiesa della piena cittadinanza per la liturgia tradizionale.Questa concezione, a nostro avviso, poggia su due premesse erronee:
1) Anzitutto l’illusione che negli ultimi decenni del pre-concilio la liturgia abbia avuto la sua “età dell’oro” e che in quel periodo tutto andasse bene.In realtà abbiamo visto nei capitoli precedenti quante legittime e qualificate istanze di riforma abbiano contraddistinto quel periodo, e quanti pronunciamenti magisteriali ne abbiano condiviso e incoraggiato il tenore. Infatti che una riforma fosse necessaria appare evidente dalla diffusione e dalla rilevanza assunte dal movimento liturgico, che ne era il propulsore, e non di meno dai decisi richiami ad essa venuti dagli stessi Pontefici fin dagli inizi del XX secolo. Questa convergenza tra, potremmo dire, la base e il vertice della Chiesa non può che essere frutto di una reale esigenza e non deve essere sottovalutata. Ribadiamo, inoltre, che il lavoro conciliare su questa materia non solo non ha tradito o deviato queste istanze di riforma, ma non ha fatto altro che portarle a compimento: in realtà il filo conduttore del movimento liturgico e degli interventi magisteriali pre-conciliari è stato sempre favorire una più ampia e consapevole partecipazione di tutti i fedeli, chierici e laici, all’azione liturgica, e questo è anche, con ogni evidenza, il tema centrale della Sacrosantum Concilium .Su questo aspetto pare, invece, che molti ambienti tradizionali non siano molto sensibili. Al contrario, però, “bisogna riconoscere – come ci ricorda J. Ratzinger – che la celebrazione della vecchia liturgia spesso si era trasformata in qualcosa di troppo individualistico e privato, e che di conseguenza la comunione tra sacerdote e popolo era insufficiente. Provo grande rispetto per i nostri vecchi che durante la liturgia recitavano le orazioni contenute nei loro libri di preghiera, ma non si può certo considerare questo come l’ideale di una celebrazione liturgica. Forse questo scadimento delle forme celebrative è la ragione profonda per cui in molti Paesi la scomparsa dei vecchi libri liturgici non ha avuto peso e la loro perdita non ha causato dolore” (J. Ratzinger, Discorso pronunciato in occasione del decennale del motu proprio Ecclesia Dei, “30 giorni”, p. 52).
2) La seconda tesi, conseguenza della precedente, è che l’unico rimedio all’attuale crisi della liturgia è un ripristino incondizionato della situazione precedente al Vaticano II.Ora, questo intento, oltre ad essere inadeguato per le ragioni appena esposte, rinchiude il tradizionalismo in una prospettiva totalmente anacronistica, in fondo irrealistica, che va contro il senso profondo della storia e della realtà che il popolo cristiano ha sempre avuto.Ma anche ammesso che fosse auspicabile, non sarebbe in ogni caso possibile far girare indietro la ruota della storia. In altre parole, occorre rendersi conto che qualunque proposta di soluzione per uscire dalla crisi in cui versa la liturgia, per essere credibile, dovrà tener conto di ciò che è accaduto in questi quarant’anni, dovrà cioè partire dal dato di fatto della riforma compiuta nel post-concilio, ed essere quindi, appunto, una riforma della riforma, e non una cancellazione tout court.In realtà questa opposizione radicale a qualunque riforma non era condivisa, in origine, neppure dal corifeo del tradizionalismo. Risulterà forse una sorpresa per molti (anche tradizionalisti) sapere che nei primi dieci anni di vita del seminario della “Fraternità san Pio X”, per “la messa mattutina […] il messale è quello di san Pio V, in latino, però senza il salmo Judica me e l’ultimo Evangelo, in applicazione delle prime riforme del 1965. Inoltre il prete, sino al Credo, sta allo scranno e non all’altare” (B. Tissier de Mallerais, Mons. Marcel Lefebvre – una vita, Tabula Fati, 2005, p. 475). Anche se dal 1974 i lefebvriani ritorneranno integralmente alle forme pre-conciliari, a causa del progressivo radicalizzarsi delle tensioni con la Santa Sede, resta il fatto che per un lungo periodo persino il campione della reazione anti-conciliare aveva ritenuto giusto seguire le indicazioni di riforma della liturgia venute dalla SC, che egli d’altronde aveva firmato, e dall’Istruzione Inter ecumenici: evidentemente non considerava un sacrilegio aggiornare i riti della messa. Forse egli era consapevole più e meglio di coloro che pure si richiamano a lui, che “la Chiesa sa di essere libera da strettoie e pregiudizi, dall’incomprensione verso nuove mete e verso le necessità determinate dai tempi. Essa non diffida delle cose nuove, perché sono nuove; non rimane avvinta alle cose antiche perché sono antiche” (Discorso del Legato pontificio Eugenio Pacelli [poi Papa Pio XII] al Congresso Eucaristico internazionale di Budapest, maggio 1938).In definitiva i tradizionalisti devono capire che “difendere oggi la Tradizione vera della Chiesa significa difendere il concilio […]. C’è una continuità che non permette né ritorni all’indietro, né fughe in avanti, né nostalgie anacronistiche, né impazienze ingiustificate. E’ all’oggi della Chiesa che dobbiamo restare fedeli, non allo ieri o al domani: e questo oggi della Chiesa sono i documenti del Vaticano II nella loro autenticità” (J. Ratzinger, Rapporto sulla fede – Vittorio Messori a colloquio con il cardinale Joseph Ratzinger, p. 29).