di Andrea Tornielli
in “La Stampa” del 15 febbraio 2013
Nei colloqui tra i cardinali in Vaticano, più che sull’identikit del nuovo Papa ci si interroga sul futuro dei cantieri ancora aperti. I nodi irrisolti del pontificato. La discussione sulle priorità per la Chiesa cattolica del futuro sarà infatti decisiva per la scelta del successore.
Papa Ratzinger si è concentrato sull’annuncio della fede cristiana nel mondo e ha creato un «ministero» vaticano per la «promozione della nuova evangelizzazione». La rinuncia papale lascia però incompleta la risposta alla crisi di fede, soprattutto dal punto di vista positivo e propositivo. Come comunicare il Vangelo nella società post-cristiana, abbandonando quel linguaggio autoreferenziale che va per la maggiore in tanti documenti ecclesiali? Il Papa ha dato un esempio di comunicazione efficace, non sempre è stato raccolto.
Un altro nodo irrisolto riguarda la liturgia. Da cardinale, Ratzinger aveva auspicato una «riforma della riforma» liturgica conciliare, che recuperasse la sacralità del rito. In questo tentativo va inquadrata anche la decisione di liberalizzare, nel 2007, la messa in latino secondo il rito in vigore prima del Concilio: uno dei provvedimenti papali più contestati all’interno della Chiesa. Il Pontefice tedesco, come dimostra il libro fresco di stampa scritto da Gianni Valente, «Ratzinger al Vaticano II» (San Paolo), non rientra affatto nel cliché conservatore: ha vissuto in prima persona e auspicato le riforme conciliari, delle quali non si è mai pentito. La liberalizzazione della vecchia messa doveva servire, nella sua idea, per avvicinare il tradizionalismo a una corretta interpretazione delle riforme conciliari, per mitigare certi abusi e la possibile «degenerazione della messa in show». Ma la «riforma della riforma» non c’è stata. Il Papa ha cercato di dare l’esempio: nelle messe da lui celebrate hanno fatto capolino paramenti antichi e barocchi, la comunione in ginocchio, un uso maggiore del latino e del canto gregoriano, ma anche il trono papale messo in soffitta da molti decenni. Certe esteriorità della corte hanno finito col far passare un’immagine distorta invece che richiamare all’essenziale della liturgia come incontro con il mistero.
Anche il dossier sui lefebvriani, iniziativa su cui il Papa aveva puntato per arrivare a sanare lo scisma del 1988, rimane senza soluzione. Per anni il Papa ha teso la mano, ha risposto positivamente alle richieste della Fraternità San Pio X, togliendo le scomuniche e aprendo dialoghi dottrinali. Nonostante le concessioni, le risposte positive non sono arrivate. Da teologo, Ratzinger aveva riflettuto in modo particolare sul legame unico che lega i cristiani all’ebraismo. Nonostante ciò, alcuni incidenti di percorso, dovuti al malfunzionamento della macchina curiale, hanno creato tensioni proprio con il mondo ebraico: dalla scomunica tolta al vescovo Williamson, negazionista sulle camere a gas, fino alle polemiche per la preghiera del Venerdì Santo presente nell’antica liturgia liberalizzata. È ancora in via di tessitura, dopo le polemiche di Ratisbona, il rapporto con il mondo islamico, in attesa dei nuovi equilibri della Primavera araba: i viaggi in Turchia, Giordania, Israele e Libano sono stati dei successi, e le nomine dei nuovi responsabili delle Chiese cattoliche d’Oriente, dall’Iraq all’Egitto, faceva ben sperare nonostante le difficoltà. Apertissimo rimane il cantiere riguardante i rapporti con la Cina: in questi anni si sono susseguiti passi positivi ma anche strappi dolorosi.
All’inizio del pontificato molti si aspettavano che Benedetto XVI riformasse la Curia romana. Che la semplificasse, per renderla più funzionale, ridimensionando in parte il ruolo centrale della Segreteria di Stato, per ridare più forza ai singoli dicasteri in una dimensione più collegiale. I progetti sono rimasti sulla carta, dopo alcuni iniziali tentativi di accorpamento. Gli incarichi episcopali all’interno della Curia si sono moltiplicati e vatileaks ha fatto emergere una realtà di tensioni, scontri e cordate. Il Papa che pure è riuscito a combattere come nessun altro la piaga della pedofilia nella Chiesa, non ha potuto completare l’opera di riforma interna del Vaticano e non ha avuto sempre attorno a sé collaboratori in grado di tradurre le sue indicazioni in atti di governo. Rimane poi irrisolto il nodo del dissenso, rappresentato dai gruppi di sacerdoti che invitano apertamente alla disobbedienza, auspicano la fine del celibato dei preti e chiedono il sacerdozio per le donne. Infine, nella società secolarizzata, resta aperto anche il cantiere che riguarda le risposte da dare alla crisi del matrimonio e al crescente numero di divorziati risposati. Appena tre settimane fa Benedetto XVI aveva invitato a studiare la possibilità di dichiarare nullo un matrimonio per mancanza di fede. Toccherà al successore anche questo dossier.