Fin qui le due forme della liturgia romana hanno litigato. Possono coabitare in pace? Il recente commissariamento dei Frati Francescani dell’Immacolata con Decreto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica dell’11 luglio 2013, in cui si decideva, tra l’altro, che i suddetti Frati per celebrare la liturgia nella forma straordinaria dovevano essere esplicitamente autorizzati dalle competenti autorità, ha provocato una forte reazione nel mondo tradizionalista legato al Vetus Ordo. Diversi esponenti di questo mondo hanno gridato allo scandalo e hanno invitato alla resistenza…
Alla luce di questi eventi e dopo sei anni e passa dalla pubblicazione del Motu proprio Summorum Pontificum, viene spontanea una domanda: la situazione attuale del rito romano con due forme rituali, ordinaria e straordinaria, è destinata a consolidarsi o è una situazione temporanea in attesa del ritorno ad una sola forma rituale?
Non esistono statistiche ufficiali per poter valutare la consistenza numerica e la collocazione geografica dei gruppi legati alla forma straordinaria del rito romano. C’è però l’impressione che il fenomeno pur essendo fortemente minoritario conosce un qualche esito tra i giovani. E’ quindi giusto domandarsi sulla possibilità o meno di un’eventuale e lunga coabitazione delle due forme celebrative.
La storia della liturgia dimostra che, in genere, le diverse tradizioni liturgiche nascono e si consolidano in un determinato ambiente geografico ed ecclesiale. L’origine delle liturgie orientali è strettamente legata allo sviluppo delle sedi patriarcali. I diversi riti hanno il sapore della terra dove sono nati e sono portatori della storia di una Chiesa locale. Anche in Occidente, le liturgie ambrosiana, ispano-visigotica e un po' meno quella gallicana hanno avuto uno sviluppo simile.
La liturgia romana ha una storia un po’ diversa. C’è una prima fase, che possiamo chiamare “classica”, in cui questa liturgia è strettamente legata nelle sue caratteristiche alla città di Roma. Nei secoli VIII/IX l’impero franco-germanico importa, copia e trasforma la liturgia romana aggiungendovi degli elementi locali. Nel secolo X questa liturgia ritorna all’Urbe e viene accolta con molteplici elementi franco-germanici. Dal secolo XI al XVI, la liturgia romana(-franco-germanica) è celebrata con diverse modalità locali nei paesi dell’Europa occidentale. Infatti, non c’è un’autorità centrale come la Congregazione dei Riti postridentina. Solo dopo Trento, viene imposta l’uniformità liturgica con qualche eccezione.
Oggi, alcuni fautori della pluralità rituale, e quindi della coabitazione delle due forme rituali del rito romano, guardano con interesse alla situazione della liturgia nei secoli anteriori a Trento in cui c’era un certo pluralismo rituale. Noto però che si trattava sempre di un fenomeno “localizzato”: su una base sostanzialmente comune, le diverse Chiese locali si esprimevano con una certa libertà rituale. Invocare questa situazione per difendere l’attuale pluralità di forme rituali del rito romano è fuori posto. La normativa del Motu proprio Summorum Pontificum introduce una situazione inedita storicamente e problematica pastoramente per diverse ragioni:
1. In primo luogo, c’è la Costituzione Sacrosantum Concilium che prescrive una riforma della liturgia romana “tridentina”, quella che i Padri conciliari conoscevano e celebravano. Conservare l’uso dei libri liturgici che sono stati “presi di mira” (passi l’espressione) dai Padri conciliari è un fenomeno quanto mai anomalo, anzi per certi versi patologico. Il Concilio Vaticano II, pur avendo uno spiccato carattere pastorale, è un’espressione solenne del Magistero ecclesiale, che non può essere disattesa.
2. In secondo luogo, introdurre nel seno delle stesse parrocchie e diocesi due diverse forme rituali con calendari diversi, ecc. che ciascun fedele può scegliere secondo il proprio piacere, rende alla lunga difficile una vera pastorale unitaria. Benedetto XVI nella Lettera ai vescovi che accompagna il Motu proprio prevedeva l’arricchimento della forma straordinaria con l’inserimento di nuovi santi e nuovi prefazi… Passati più di sei anni, non si è fatto nulla perché si tratta e si tratterà sempre di un rompicapo per qualsiasi commissione di esperti che si prefigga questo compito: quali santi, con quali testi, in quale data... e con quali criteri…?
3. Una soluzione già attuata in alcune parti è la creazione di parrocchie personali per i frequentatori della forma straordinaria. A prima vista, in questo modo si osserva il tradizionale legame tra rito e comunità locale. E’ una soluzione però che non soddisfa tutti perché si tratta di fedeli che sono dispersi nelle diverse parrocchie e vivono talvolta a parecchi chilometri di distanza dalla sede della parrocchia personale. Inoltre, la moltiplicazione di diocesi, prelature e parrocchie personali richiederebbe un’attenta valutazione alla luce di una sana ecclesiologia perché si corre il rischio di creare ghetti, non comunità ecclesiali.
4. Secondo alcuni esponenti del mondo tradizionalista, una soluzione potrebbe essere la cosiddetta “riforma della riforma”, intesa (nel migliore dei casi) come un avvicinamento tra le due forme rituali creando in questo modo un rito che dovrebbe accogliere le decisioni fondamentali del Vaticano II (che però essi interpretano tal volta in modo minimalista). Quindi la nuova forma rituale non si dovrebbe allontanare troppo dai libri tridentini, cioè dovrebbe essere in “continuità” con essi (come amano dire coloro che propugnano questa soluzione). Noto che nella galassia tradizionalista, la Costituzione Sacrosanctum Concilium più che interpretata viene non di rado criticata, o, in parte, addirittura ignorata. Bisogna, poi, tener conto, dell’area dura e pura del tradizionalismo che vuole conservare i libri anteriori al Vaticano II senza cambiamenti di rilievo, o al più con qualche leggero ritocco formale. Come ho detto altre volte, una simile operazione potrebbe complicare ancora di più la situazione attuale creando tre gruppi contrapposti: coloro che accettano la riforma della riforma; coloro che rimangono fedeli ai libri anteriori al Vaticano II; coloro che continuano a celebrare coi libri riformati dopo il Vaticano II.
Non ho contemplato delle soluzioni “autoritarie”, in un senso o nell’altro, che pur alcuni propongono. Ad esempio, si direbbe che quando autorevoli esponenti del mondo tradizionalista, come in questi ultimi giorni Roberto de Mattei, Francesco Colafemmina, Maria Pia Ghislieri e altri parlano della forma straordinaria come della Messa tradizionale, della Messa di sempre, del rito millenario della Chiesa cattolica canonizzato dal concilio di Trento, di un rito che risale alla tradizione apostolica,… hanno fatto già una scelta di campo (ideologica) a favore esclusivo della forma straordinaria del rito romano fino ad arrivare a dire che “la Messa di Paolo VI è facoltativa e in quanto tale la si può criticare e respingere”.. Ho scritto queste righe cercando di tener conto delle diverse sensibilità, ma al tempo stesso ho sottolineato le “oggettive difficoltà” che, a mio avviso, comporta una lunga coabitazione delle due forme rituali. Se qualcuno ha altre soluzioni da proporre si faccia avanti… con argomenti!
Matias Augé