Cari amici nella retorica demagogica degli "osservatori"e nelle bufale che continuano a diffondere sui supposti abusi liturgici compiuti dal Cammino Neocatecumenale,vogliamo pubblicare un ottima riflessione sull'altare mensa eucaristica.Leggiamo che in origine l'Eucarestia si celebrava su un tavolo,addirittura su uno sgabello come emerge dagli atti di Tommaso .Immagino gli "osservatori"richiamare nostro Signore e gli Apostoli perchè celebravano su un tavolo o su uno sgabello.Il concetto di altare sacrificale si è aggiunto nel corso dei secoli ,inizialmente si parlava di mensa eucaristica.Si badi bene non vogliamo negare il valore sacrificale della Messa,nè che la mensa sia anche altare del sacrificio di Cristo.Non vogliamo negare i progressi che hanno portato ad approfondire il mistero eucaristico e a sottolineare il valore sacrificale della Messa, in risposta anche alle eresie che la negavano.E' importante sottolineare che il primo altare fisso risale a dopo il IV secolo,quindi per ben cinque secoli l'altare è stato mobile e veniva introdotto solo dopo la liturgia della Parola.La mensa eucaristica poi stava in mezzo all'assemblea,con il passare del tempo e dei secoli si è costruito l'altare nel presbiterio staccato dall'assemblea,con la balaustra etc.
Sanno apostata,Mic,Tripudio queste cose?Cosa pensano,non si rendono conto che spesso criticano e bollano come eretico e non cattolico ciò che nella Chiesa delle origini era la normalità?Dicendo questo non vogliamo negare l'importanza dell'altare di pietra,fisso e consacrato,ma vogliamo solo dire che spesso le critiche al CNC nascono da una ignoranza profonda della storia della Chiesa e della liturgia e dalla malafede.
Leggano gli "osservatori"impareranno qualcosa:
Forma e sviluppo dell’altare cristiano
La mensa del Signore dell’ultima cena non era un vero e proprio tavolo nel senso odierno, ma piuttosto una mensa attorno alla quale i partecipanti erano adagiati su dei cuscini. In tal modo la persona era appoggiata sul gomito sinistro e mangiava con la mano destra insieme agli altri nel medesimo piatto (Mc 14,20). In questo senso questa comunione di mensa difficilmente poteva comprendere più di una dozzina di partecipanti.Se erano presenti in più occorreva formare gruppi distinti di mensa.Le prime comunità cristiane avevano un altare?Tra le fonti liturgiche primitive, gli Atti di Tommaso, un documento siriaco del II secolo, così descrive una celebrazione eucaristica quando si parla dell’altare: "L’apostolo comandò al suo diacono di preparare una mensa; prepararono allora uno sgabello che avevano trovato lì vicino e, stesa una tovaglia, vi mise il pane…" (Atti di Tommaso, 49). Questo significa che per le prime comunità cristiane la forma dell’altare non ha nulla di specifico e di proprio (dato che si tratta solo di uno sgabello), ma è la sua funzione nella liturgia eucaristica che lo rende "altare".
Fino al IV secolo l’"altare" era introdotto dopo la liturgia della Parola, e questo era compito dei diaconi. Soltanto sotto papa Gregorio I, attorno al Seicento, si provvide ad allestire in San Pietro a Roma un altare fisso.Ciò fu la premessa per utilizzare come materiale per il tavolo della Cena del Signore, pietra, supportata dal simbolismo di Cristo come pietra angolare o roccia (Rm 9,33; Ef 2,20ss; 1Pt 2,7ss).La forma dell’altare a tavolo venne però presto modificata in quella di altare a blocco o a scatola (uno sviluppo che stava in collegamento anche con il culto delle reliquie).La forte sottolineatura del carattere sacrificale della celebrazione della messa nel medioevo porta conseguentemente anche alla forma di vere e proprie pietre per il sacrificio.
Se all’inizio la mensa della Cena del Signore stava in mezzo alla comunità e più tardi nel presbiterio,cioè in uno spazio riservato all’altare e sempre più separato dalla comunità, la sua posizione si modificò sostanzialmente a motivo della direzione a oriente della preghiera nella liturgia.L’impostazione a oriente della preghiera distingue, a partire dal III secolo circa, i cristiani dagli ebrei, che già secondo la testimonianza di Dn 6,11 volgevano in direzione del Tempio di Gerusalemme la loro preghiera e perciò anche le loro sinagoghe. Per i cristiani rivolgersi nella preghiera verso oriente è una professione di fede nel ritorno del Cristo atteso di lì, Cristo sole di giustizia, luce splendente dall’alto (Mt 24,27; Ap 7,2). D’ora in poi gli edifici liturgici vengono direzionati sempre più verso oriente, anche se la preghiera non necessariamente era rivolta verso oriente.Accade così che ci siano importanti chiese disposte sì sull’asse est-ovest ma con l’ingresso a oriente e perciò direzionate a occidente. Tra esse a Roma la Basilica Lateranense e S. Maria Maggiore e, a Gerusalemme, la basilica del Santo Sepolcro.In questi casi il vescovo, che sta all’altare collocato a occidente, era rivolto a oriente e alla stesso tempo alla comunità, mentre la comunità che gli stava di fronte per pregare verso oriente si doveva girare di 180 gradi. In quelle chiese però dove l’altare era collocato a oriente, il presidente orientava la sua preghiera verso oriente e quindi girava le spalle all’altare e alla comunità (e guardava in direzione della sua cattedra che era solitamente collocata alla parete orientale dell’abside).
Di qui, con il crescente orientamento a oriente delle chiese, si modifica l’organizzazione dello spazio dell’altare. L’altare venne spostato sulla parete orientale dell’edificio, per permettere la preghiera di tutti verso oriente: il celebrante volgeva le spalle alla comunità e tutti guardavano a oriente (ciò tuttavia non succede con gli altari papali a Roma cosicché lì rimase possibile la celebrazione versus populum, cosa che peraltro mai venne proibita, neppure dal Messale Romano del Concilio di Trento del 1570, che l’ha perfino permessa in linea di principio).
Così l’altare si allontana sensibilmente dalla comunità, cosa rafforzata ancora di più dal fatto che i numerosi chierici seggono in file di banchi poste una di fronte all’altra sui fianchi dello spazio dell’altare (come anche nelle chiese monastiche). Ciò ha come conseguenza che l’abside, al cui ingresso era collocato l’altare (originariamente di piccole dimensioni), si sviluppa a formare uno spazio allungato a cui la comunità non ha più accesso. Ciò che avviene all’altare non è quasi più visibile per la distanza posta fra abside e assemblea.Parallelamente si modifica anche la devozione eucaristica.La messa recitata in latino (nella quale la parte più importante, la preghiera eucaristica, viene ormai pronunciata a bassa voce) non può quasi più essere udita. Soltanto si può ancora vedere l’elevazione delle specie eucaristiche.Questo appare come il momento più importante della liturgia che rende possibile l’adorazione di Gesù sotto i segni del pane e del vino.Un fortissimo rispetto per il Sacramento limita di fatto una volta all’anno la partecipazione alla comunione.In sostituzione si impone la comunione con gli occhi al momento dell’elevazione. Nella vita di fede del medioevo più importante della messa diventa l’adorazione eucaristica. E ciò ha a sua volta conseguenze sulla forma dell’altare.Nel medioevo l’altare ormai addossato alla parete orientale della chiesa si trasforma via via in una mensola per sovrastrutture di ogni genere (reliquiari, figure di santi). In epoca barocca viene inserito su questa mensola d’altare il tabernacolo. Addirittura sembra che l’altare sia "solo" il basamento per imponenti tabernacoli e per troni per ostensori e l’adorazione eucaristica. Tutto questo si è protratto fino all’inizio del 900.
Nell’epoca tra le due guerre mondiali si volle, per impulso del movimento liturgico, restituire all’altare significato e dignità propri.La dignità dell’altare risiede soprattutto nel fatto che esso è mensa del Signore e della Cena del Signore. In tal modo, al di là delle molteplicità delle forme, l’altare ritorna ad essere il luogo fisso attorno al quale si raduna la comunità dei discepoli del Signore che partecipano alla Cena.
Nell’epoca tra le due guerre mondiali si volle, per impulso del movimento liturgico, restituire all’altare significato e dignità propri.La dignità dell’altare risiede soprattutto nel fatto che esso è mensa del Signore e della Cena del Signore. In tal modo, al di là delle molteplicità delle forme, l’altare ritorna ad essere il luogo fisso attorno al quale si raduna la comunità dei discepoli del Signore che partecipano alla Cena.
Altare: centro della vita cristiana
Se la Chiesa edificio è segno del Mistero della Chiesa comunità, l'altare è segno del mistero di Cristo che della Chiesa è il fondamento, il capo e il centro. Come senza Cristo non esiste la Chiesa comunità, così senza altare non si può parlare di Chiesa.L’altare è il centro della Chiesa in quanto "luogo"/persona dove la comunità cristiana entra in comunione con il mistero che la definisce e la fa vivere: il mistero della Pasqua del Signore Gesù.
Senza relazione con l’altare siamo senza identità (il cristiano è un uomo pasquale), senza sorgente (viviamo in quanto persone in comunione con la Sua vita).E’ importante un parallelismo che ci permette di comprendere meglio questa centralità spaziale.Per quanto riguarda il tempo liturgico riconosciamo che la Domenica è centrale nell’anno liturgico come tempo tipico della celebrazione dell’eucarestia: è il tempo nella quale il mistero Pasquale alimenta la vita della Chiesa.La celebrazione eucaristica è una cena e un sacrificio, cioè implica un luogo dove si consuma la cena e si compie il sacrificio. Questo luogo è l’altare. L’altare dunque è per lo spazio liturgico ciò che la domenica è per il tempo liturgico; più precisamente l’altare è il centro del tempio (come la domenica è il centro dell’anno liturgico) e il principale simbolo spaziale del sacramento dell’eucarestia di Cristo (come la domenica è il principale simbolo temporale del sacramento dell’eucarestia di Cristo).Potremmo parafrasare quell’espressione dei primi martiri cristiani "senza Domenica non possiamo vivere" così: "senza altare non possiamo vivere", cioè non possiamo ripetere il gesto di Gesù: "fate questo in memoria di me".
Senza relazione con l’altare siamo senza identità (il cristiano è un uomo pasquale), senza sorgente (viviamo in quanto persone in comunione con la Sua vita).E’ importante un parallelismo che ci permette di comprendere meglio questa centralità spaziale.Per quanto riguarda il tempo liturgico riconosciamo che la Domenica è centrale nell’anno liturgico come tempo tipico della celebrazione dell’eucarestia: è il tempo nella quale il mistero Pasquale alimenta la vita della Chiesa.La celebrazione eucaristica è una cena e un sacrificio, cioè implica un luogo dove si consuma la cena e si compie il sacrificio. Questo luogo è l’altare. L’altare dunque è per lo spazio liturgico ciò che la domenica è per il tempo liturgico; più precisamente l’altare è il centro del tempio (come la domenica è il centro dell’anno liturgico) e il principale simbolo spaziale del sacramento dell’eucarestia di Cristo (come la domenica è il principale simbolo temporale del sacramento dell’eucarestia di Cristo).Potremmo parafrasare quell’espressione dei primi martiri cristiani "senza Domenica non possiamo vivere" così: "senza altare non possiamo vivere", cioè non possiamo ripetere il gesto di Gesù: "fate questo in memoria di me".
L’introduzione del Messale Romano afferma la centralità dell’altare:
"L’altare, sul quale si rende presente nei segni sacramentali il sacrificio della croce, è anche la mensa del Signore, alla quale il popolo di Dio è chiamato a partecipare quando è convocato per la messa; l’altare è il centro dell’azione di grazie che si compie con l’eucarestia" (Principi e norme per l’uso del Messale Romano, n. 259).
Il testo parla di mensa e di altare; i due termini rimandano alle due dimensioni fondamentali della celebrazione eucaristica: la "cena" (mensa) e il "sacrificio" (altare). L’eucarestia infatti è cena e sacrificio, mensa e partecipazione al sacrificio cruento sulla Croce. Per questo motivo l’altare-mensa è anche il principale punto di riferimento della chiesa, ciò verso cui deve essere orientata l’attenzione dei fedeli e intorno al quale deve svolgersi l’azione comunitaria.
"L’altare maggiore sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo.Sia poi collocato in modo da costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga l’attenzione di tutta l’assemblea" (Ivi, n. 262).
Il luogo dove è collocato l’altare e la sua centralità all’interno della chiesa significa che l’altare è:
il luogo della "convergenza", dato che il celebrante e l’assemblea sono radunati tutti intorno all’altare. Da un punto di vista spaziale la convergenza implica la circolarità (essere intorno). Dal punto di vista temporale la convergenza dice il "presente" della comunità celebrante, l’oggi della salvezza per la chiesa che celebra. Dal punto di vista esistenziale la convergenza rimanda alla "comunione" della comunità celebrante.Il luogo di "orientamento" dato che l’assemblea è rivolta all’altare. Da un punto di vista spaziale l’orientamento implica la linearità (essere orientati verso). Dal punto di vista temporale l’orientamento dice il "futuro" escatologico verso cui tende la comunità celebrante. Dal punto di vista esistenziale l’orientamento rimanda alla "trascendenza", al Padre al quale è orientata la preghiera (al Padre per Cristo nello Spirito Santo).
L’altare orienta il radunarsi della chiesa attorno a un centro, mettendo in atto due movimenti della comunità celebrante:
movimento INTORNO (il "convergere" significa ritrovarsi al centro), lasciarsi attrarre alla sorgente della nostra vita pasquale (Croce-Pasqua-Eucarestia); è il movimento della comunione che non è la somma di tante individualità, ma l’uscita da sé di tutti (esodo) per entrare nello spazio dove Dio ci convoca: in Cristo. Questo movimento implica uno STARE, essere, rimanere IN Lui (dimorare). Movimento VERSO ("divergere"): è il movimento per cui i membri dell’assemblea tendono a superare i confini della comunità per volgersi verso Dio, l’Altro che è Oltre e verso il quale cammina la comunità. E’ il movimento dell’ANDARE (strada) dell’uscire continuamente da sé, dallo spazio dove noi siamo la misura del nostro radunarci per camminare incessantemente verso Colui che rompe le nostre misure e ci chiama nel suo spazio di eccedenza (il suo amore eccessivo manifestato dall’altare/sacrificio della croce), verso la meta ultima del nostro camminare nel tempo: il compimento del mistero pasquale in noi (Cfr. Giorgio Bonaccorso, Celebrare la salvezza, EMP, 2003, pp. 205-6).