Cari amici fino a qualche tempo fa si parlava di riforma della riforma della liturgia.Qualcuno sperava
nel ritorno al latino nella Messa o alla reintroduzione di parti in latino.Per fortuna,o provvidenzialmente,
con l'elezione di Papa Francesco,questo pallone si è sgonfiato miseramente.A dire il vero non ci avevo mai creduto dato che,tranne i tradizionalisti e qualche Cardinale di Curia,nessuno vuole veramente una riforma della riforma della liturgia.La Messa in lingua volgare è stata accettata di buon grado e non c'è alcuna nostalgia del latino,la lingua volgare va più che bene,se si eccettua,come è detto,gli ambienti tradizionalisti fissati fanaticamente con il latino.Il latino è la lingua liturgica ma dal momento che il Vaticano II ha voluto ribadire che la partecipazione alla liturgia deve essere attiva e consapevole,bene fece la Commissione presieduta da Mons.A.Bugnini ma soprattutto Papa Paolo VI,a tradurre tutto il nuovo Messale nelle lingue volgari e parlate.Non è possibile partecipare pienamente se non si capisce quello che si sta dicendo e se si assiste a qualcosa che si svolge in una lingua che non si parla nè capisce.Qualche tempo fa,parlando con un Sacerdote Gesuita,piuttosto anziano,mi raccontò di una sua visita ad un convento di suore fatta in gioventù,prima della riforma post Vaticano II.Le suore stavano
recitando la liturgia delle ore in latino ovviamente.Mi raccontava,provocando la mia ilarità,che una
povera suora,non conoscendo il latino,essendo analfabeta,seguiva la preghiera trasformando le parole in latino del breviario in parole napoletane che somigliavano per assonanza.Altro episodio simile mi fu raccontato da un Sacerdote,ora in cielo,che recitava la Messa,prima del Vaticano II,nella Chiesa di San Vincenzo ai Vergini a Napoli.Mi riferiva di come il popolo storpiasse completamente il latino trasformandolo in espressioni napoletane.Tutte cose reali non inventate.Ma a questo proprosito vorrei offrire il pensiero contenuto in un libro di Pierfarncesco Stagi che tratta dell'eperienza di Dio di San Benedetto da Norcia.Già ai tempi di San Benedetto si coglieva la difficoltà dei frati illetterati a pregare in latino e a comprendere la regola dell'Ordine Benedettino che era tutta in latino:
“Benedetto ha ben presente [nella sua Regola] le difficoltà di comprensione provenienti
dalla LINGUA LATINA (molti monaci erano illetterati o semianalfabeti),quando ha osservato che SE CIO' CHE SI DICE NON CONCORDA CON CIO'CHE SI COMPRENDE, oppure se CIO' CHE SI COMPRENDE NON PROVIENE DIRETTAMENTE DA CIO' CHE SI DICE,NON C'E' ESPERIENZA RELIGIOSA e ancora di più NON C'E' AUTENTICA PREGHIERA MA UN CONFUSO VOCIARE.Dovrebbero per inciso riflettere su questo aspetto COLORO CHE OGGI SOSTENGONO LA REINTRODUZIONE GENERALIZZATA DEL LATINO NEGLI UFFICI LITURGICI: SI PUO' FARE ESPERIENZA DI CIO' CHE ORMAI NON SI COMPRENDE,o si comprende solo dopo un attento studio,in cui la mente rischia di perdere la propria spontaneità ‘a caccia’ delle parole? E’ AUTENTICA un’esperienza che nasce soltanto da un ASCOLTO SENZA COMPRENSIONE,SE NON L'INTUIZIONE DI UN VAGO E INQUIETANTE SENSO DEL MISTERO?Naturalmente il discorso è diverso per i monaci che possono permettersi una lunga educazione ‘finalizzata’ a questa comprensione”.
Fonte: Pierfrancesco Stagi, Benedetto da Norcia. L’esperienza di Dio, Borla, Roma 2014, p. 134.